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Giungo sull’imbrunire alla villa solitaria di questa artista, della quale mi era giunto solo un laconico cenno, “una scultrice, istintiva, di classe”. Tutto da scoprire quindi. Mi fanno entrare attraversando alcune sale contigue che convergono ad una cucina-tinello popolata da tre adolescenti, le figlie, tutte condensate su grandi libroni d’arte. Un’atmosfera preparatoria di quanto mi attende nell’ampio salone dove incontro NORA BERG, la scultrice pittrice. È una donna dalla figura snella, scattante, dai capelli rosso-rame che la fanno sembrare tanto irlandese. Sta congedando degli amici e quando la porta in fondo al salone si chiude mi viene incontro, le mani diafane che spiccano nella semiluce del salone.Questo salone, vero regno di Nora, di certo in pieno giorno deve accogliere lo splendore del sole e il riverbero del verde intenso, anche se la costruzione, in questo preludio di ombre, è solo una macchia rosso cupo che va facendosi sempre più scura nella notte. Per parlare di NORA BERG è necessario innanzitutto passare attraverso il filtro d’arte che aleggia in questa casa, una casa che Nora ha creato da sé perché, se le figlie sono dedite all’arte, se il figlio è architetto e se il consorte è pittore, tutto lo si deve a NORA.
È come se si piombasse in un gruppo familiare di figli d’arte. E NORA è il vento che permette che questo fuoco si alimenti bruciando. Mi aggiro tra le pareti che, in ogni supporto, reggono una testa, un bronzetto, un gruppo di fanciulle, una simbiosi di una silfide, un cavallo. C’è un gruppo avvincente, “Il Rimpianto”, in cui una figura curva di uomo regge il corpo arcuato di una fanciulla inerte. E poi “L’Estate”, il “Settembre”, la “Fanciulla orante”, relegata nella finestrella quadrata al lato del grande camino con la cappa in rame. E “San Francesco”, unica scultura sacra che NORA ha creato, penso, solo per sé. Una figura ieratica che, poggiando sul piede in flessione, giunge, su, attraverso il panneggio del saio, al volto implorante, alle mani in atto di muta preghiera. NORA BERG parla delle sue opere, le accarezza con religiosità, quella stessa religiosità che le ha permesso di realizzare tutta la sua produzione.
Dalle sue mani nervose, lievi, scattanti e dure assieme, è uscito un qualcosa di profondamente plastico, di profondamente struggente. NORA si assenta per qualche istante e, rimasto solo, in questa penombra esplode l’incantesimo. Le figure ingigantiscono, scendono dalle loro basi, tonde e quadrate, e si ammassano nel fondo del salone, le membra sottili, i corpi snelli, le schiene che riescono a dare un assieme talmente vero da suscitare un qualcosa di irreale. Ed irreale è veramente questo gruppo di donne. Esplode quasi una musica, muta, sospirante, e il coro si fa più distinto in una ridda di note. Invocano NORA che le ha plasmate, che ha dato loro vita interiore e corporea. Ascolto, quasi in un rapimento, questo coro. Poi da una finestra, che si affaccia nel buio, quattro occhi rossi, quelli dei due lupi fulvi, che scorazzano nel prato. La lastra dell’incantesimo si è frantumata, dissolvendosi e scompare in un sussurro che si annienta in un sospiro ansioso. NORA è rientrata nel vasto salone.
Le teste, i gruppi, i bronzetti sono tornati, in disciplina, ai loro posti. Nel vano, in salita del sottoscala, l’ombra è ora più fitta. Il bassorilievo rimane piatto contro la parete bianca. La figuretta orante, sul davanzale della finestra quadrata, presso il camino, ha ripreso la sua posizione prona. Il San Francesco, si tende ancora più verso l’alto. Quando esco, nella notte, che si è fatta fonda, nel silenzio, sento le foglie delle betulle cadere sulla passatoia di porfido viola. Mi trovo sulla strada, i cani scorazzano gioiosi. Il muro di cinta, appena illuminato, si mostra nella ragnatela rosso-giallo dell’autunno. Rientro nel nulla di una caligine rugiadosa e riesco a fatica a scrollarmi di dosso la magia negromantica di Nora Berg, artista, e delle sue opere magiche. In casa resta solo a vegliare “La fiamma”, la luce dell’estro, la vestale che mantiene acceso il fuoco sacro.